| dal Vangelo  secondo Matteo In quel tempo, avendo udito  [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò  in un luogo deserto, in disparte.
 Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla  barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro  malati.
 Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è  deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi  da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro  da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due  pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
 E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i  due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li  diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
 Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste  piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare  le donne e i bambini.
 
 
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          | sentì  compassione  | Il mio cuore  si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione (Os 11,8). La compassione di Gesù è la stessa che muove il Padre. Voleva  ritirarsi in disparte, appena avuta  la notizia della morte e sepoltura del Battista portata dai suoi discepoli, una  notizia sconvolgente che apre una visione diversa della sua azione; Gesù  avrebbe voluto un momento tranquillo da passare col Padre suo per capire dove  la storia lo avrebbe portato, avrebbe voluto stare in disparte rispetto alla violenza del potere politico e religioso  che alla fine lo condurrà alla sua Pasqua, ma la folla lo aveva preceduto. Ne  ebbe compassione e guarì i loro malati.
 Per amore di quella  folla Gesù abbandona l’idea di ritirarsi, senza recriminare, lascia la  preghiera perché il rapporto con la folla è più importante. I discepoli,  invece, sembrano infastiditi da quella folla e alla fine vorrebbero congedarla.
 L’atteggiamento di Gesù è particolarmente rivelante la  molteplicità di contraddizioni che ci distinguono, tra il desiderio di  accoglienza e il fastidio che gli altri ci procurano. Da un lato siamo animati  dallo spirito evangelico dell’amore per il prossimo, dall’altro la difficoltà  dell’incontro diretto con chi, per esempio, con insistenza vorrebbe pulirci il  vetro dell’auto. Finché accoglienza significa destinare abiti usati o un po’ di  spesa, tutti siamo disponibili, anche per una azione di volontariato non manca  la disponibilità, ma condividere gli spazi, la casa, il lavoro, rinunciare alle  proprie abitudini o al proprio agio, è tutta un’altra questione. Che sia  mantenuto un dibattito politico a livello nazionale e europeo sull’accoglienza  di immigrati e profughi è estremamente significativo e espressione della  volontà di una parte della società (e di battezzati magari per salvaguardare il  cristianesimo).
 Di fronte alla folla Gesù  non pone la questione se accogliere o respingere ma sentì compassione, il suo  cuore di Messia agisce per curare e guarire. Il suo desiderio è la salvezza e  il bene dell'uomo.
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          | Ma Gesù disse loro  | Il sopraggiungere della sera spinge  i discepoli a chiedere a Gesù di congedare quell'assemblea di povera gente  perché possa andare nei dintorni a comperare qualcosa da mangiare. Sotto, sotto  c’era il desiderio non ancora sopito di stare un po’ tranquilli col Maestro  come avevano progettato all’inizio della giornata  mentre la presenza della folla e  l’atteggiamento di Gesù lo aveva ribaltato.La richiesta dei discepoli aveva,  oltretutto, una sua ragionevolezza, un aspetto pratico non trascurabile di  fronte all’esigenza reale di mangiare. Gesù non accetta questo suggerimento,  non vuole che la folla si allontani e cambia totalmente la prospettiva: «Non occorre che vadano; voi stessi date  loro da mangiare». La solidarietà di Dio  con gli uomini (Cfr. Es 16,4) assume una dimensione nuova, Gesù ci insegna,  quasi ci costringe a riconoscere la nostra vocazione.
 Per i discepoli la  folla avrebbe dovuto comprarsi  il necessario secondo quella economia di  mercato (tanto esaltata oggi) per cui ciascuno pensa ai propri bisogni  personali. Chi può permettersi acquista quello che vuole o che gli piace, anche  più del necessario, chi non può si arrangi! La logica dell'economia di mercato  è fredda matematica, indifferente ai problemi dell'altro finché anche questi  non rientrino in una prospettiva di tornaconto. Gesù invece dice ai discepoli  di dare, chiede ai suoi discepoli un  cambiamento nella visione della vita che assume l'economia del dono e va incontro ai bisogni dell'altro. Non è  questione di un gesto di solidarietà una tantum, quando capita l’occasione o se  ne sente il bisogno, piuttosto un cambiamento radicale nel costruire la società  degli uomini nella prospettiva del Regno (Cfr. Mt 25,34-36).
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          | «Qui non abbiamo altro che cinque  pani e due pesci!»  | Il contrasto tra ciò che è  disponibile nelle provviste dei discepoli e la folla è evidente. Di fronte alle  necessità dell’umanità percepiamo il senso della insufficienza e della  impotenza, facciamo i nostri calcoli, misuriamo le risorse ma la visione è  alterata, ci manca la prospettiva giusta. Se la nostra prospettiva è tendere  verso quel quindici per cento degli uomini che possiede risorse quanto il resto  dell’umanità - e questa è la realtà del mondo occidentale, ognuno nel suo  piccolo - diventa chiaro che nulla può bastare. Non ci bastano le scarpe, i  vestiti, i telefoni, le auto, le televisioni, le vacanze, il divertimento, le  case … : tonnellate di cibo è gettato perché l’esigenza del mercato vuole che  l’ultimo cliente della giornata trovi i banchi colmi come il primo.Osserviamo il susseguirsi dei  gesti di Gesù: si fa portare il poco che è disponibile, alza gli occhi al  cielo, recita la benedizione (la preghiera ebraica all'inizio del pasto),  spezza i pani e li dà ai discepoli e i discepoli li danno alla folla.
 Nella nuova economia del dono, il  primo passo è riconoscere che quello che abbiamo è un dono di Dio, certo non  manca la fatica e l’ingegno dell’uomo ma tutto è dono del Padre (Cfr. Sal  127,1-2). Poi il gesto della condivisione (Cfr. Is 58,7) nello spezzare il pane  che Gesù dà ai discepoli: voi stessi date  loro da mangiare.
 Cosa davvero sia successo non  siamo in grado di saperlo, la tradizione ci dice della moltiplicazione dei pani  e dei pesci, ma questo non è scritto, non è raccontanto, soltanto si dice che tutti mangiarono a sazietà, e ancora che portarono via i pezzi avanzati: dodici  ceste piene. Alla iniziale sproporzione tra la molta gente e il poco cibo,  ora subentra quella tra la grande folla e quanto è avanzato. Eppure sembra tutto naturale, nessuno si è accorto di nulla, non  una parola di meraviglia o di stupore come è raccontato per i miracoli (Cfr. Mt  8,27 . 9,33 . 15,31).
 Se questo testo viene letto in  chiave eucaristica, e nell’allegoria delle dodici ceste è vista la continuità  dell’azione della Chiesa, bisogna anche dire che tutti furono saziati e che nessuno è stato escluso, ma anche che al  pane della Eucarestia, dono del Signore, occorre accompagnare il pane e i pesci  della condivisione tra gli uomini perché ogni fame sia colmata. Non è vero che  nel mondo oggi siamo troppi con troppo poche risorse, dal cibo all’energia,  come prospettano i calcolatori dell’economia. È che abbiamo disimparato a  spezzare e a condividere.
 La lezione che viene  da questo racconto è di non vivere chiusi e ripiegati su noi stessi come se  fossimo il centro intorno al quale ruota tutto il resto. Gesù ci vuole liberi e  ci dona il pane della condivisione per trasformarci in comunità. Il suo  progetto è trasformare la storia umana in storia di salvezza nella comunione, nella  condivisione e nella solidarietà. Questo è il Regno di Dio.
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